..e noi imperterriti col cucchiaino

Stiamo svuotando l’oceano con un cucchiaino.
Intorno a noi piove e i ghiacci si sciolgono e noi imperterriti col cucchiaino.
Il mondo intorno scarica schifo liquido, il livello degli oceani si alza e noi imperterriti col cucchiaino.

Ora che lo guardo meglio noto che il mio cucchiaino è pure bucato.

(..e noi imperterriti col cucchiaino..)

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Se mi si pianta il pc o se chiunque mi chiede assistenza, la prima cosa che faccio/dico è “Hai provato a spegnere e riaccendere?”.

Da qualche tempo la Jollyroger mi segnala random un’anomalia dell’antifurto elettronico e l’unica è spegnere e riaccedere un paio di volte o, al peggio, staccare la batteria e aspettare un paio di minuti (sì, proprio come con un laptop).

Ieri ho attivato Mobile Internet sul mio iPhone e nonostante i messaggi rassicuranti di Vodafone non andava un tubo. Dopo aver atteso le 6 ore consigliate e aver verificato che non era successo nulla, ho telefonato al servizio clienti dove l’operatore mi ha subito chiesto “Ha provato a spegnere e riaccendere?”

(..arrossita e con la faccia di quella beccata in castagna..)

Casa bitter casa

Non è una novità che io e il sig. N si cerchi casa, si discuta animatamente sulle caratteristiche che deve avere, dove dev’essere.

La nostra idea è non spostarci dal paesello perché è comodo per entrambi (io ho il treno e lui arriva tranquillamente al lavoro in macchina) e siamo vicini ai miei, o al massimo spostarci in qualche paese adiacente, magari alla successiva fermata del treno. Altre opzioni non sono contemplate perché le fermate di treno oltre la successiva si trovano su una sola linea (l’unica fortuna attuale è avere due linee che passano dal paesello e quindi una frequenza di treni vagamente decente).

Negli ultimi dieci giorni mi sono fermata a Milano dopo l’ufficio un paio di volte: la prima sono uscita con una amica e avendo fatto tardissimo (ho preso la metro alle 21:45) l’unica è stata chiamare il sig. N per farmi recuperare al capolinea della rossa; nel secondo caso ho preso la metro alle 20:30 (o meglio ci ho provato: ho dovuto attendere 13,5 minuti prima che passasse), sono arrivata a Sesto dove ho atteso quasi mezz’ora il treno e poi sono arrivata finalmente a casa dopo le 22.
Il che mi ha dato da pensare e mi ha fatto riflettere su quando abitavo in città (l’esperienza più recente è Roma..) e su come sia diverso muoversi stando in città piuttosto che fuori. Chiaramente sarei potuta venire a Milano in macchina, non essendo nessuno dei due impegni un’improvvisata, ma non avevo voglia di passare un’ora e più nel traffico della mattina.

Non è per niente semplice, soprattutto per me che cerco “la” casa e non “una” casa e non riesco a spiegare al sig. N che è come cercare il vestito da sposa: non avevo idea di come dovesse essere, ma quando l’ho trovato ho subito saputo che era quello giusto.


(..e per lor signori uomini che non avranno mai la necessità di trovarsi un vestito da sposa, pensate a quando – se! – avete trovato la donna della vostra vita. Una casa magari non è per sempre, ma cominciare col piede giusto..)

Retrò/2

Sabato mattina all’alba delle 8 io e il sig. N siamo andati a prendere i parents all’aeroporto e alla radio passava questa canzone.
Dice Wikipedia che l’album è del 1991, ma io ricordo distintamente che quella era una canzone che andava in continuazione al jukebox della Rotonda, al mare.

Inciampando nelle parole, ho deliziato il sig. N cantandola dall’inizio alla fine perché me la ricordo a memoria ancora praticamente tutta e per cinque minuti sono tornata ad avere quasi sedici anni e contemporaneamente a ridere tra me e me perché “e se ne fregano della SIP” è qualcosa che i miei figli non potranno mai capire (e se ne fregano di Telecom/Infostrada/Fastweb.. o forse semplicemente del telefono, ma non è così semplice se c’è anche il cellulare).

nei freddi grappini di un bar” per noi è sempre stato “nei freddi gradini di un bar”, gli stessi quattro gradini davanti alla piazzetta con il bar, l’edicola e qualcos’altro, dove ci trovavamo la sera a parlare, guardare lo struscio, bere la prima vodka al melone, coprire le amiche che scappavano col moroso dell’estate in motorino (il SI rigorosamente, come spiegavo altrove l’altro giorno, perché sul CIAO non ci si stava mica in due) e aspettare di crescere.

come poeti di fine settembre” avvertivamo i primi brividi e sapevamo che l’estate stava finendo e che un anno ci separava dai prossimi gradini e chissà se ci saremmo ritrovati tutti e come e nonostante le promesse di scrivi/chiama/non sparire, saremmo tutti inesorabilmente spariti per ritrovarci l’anno dopo. Non più sedicenni. O quasi.

Retrò/1

Stamattina mentre cercavo in borsa il libro per attendere con calma il treno, mi sono fatta largo tra la collezione di penne che vive nella mia borsa (perché si trova sempre qualcosa su cui scrivere, ma non necessariamente uno strumento con cui scrivere) e ho pensato a quanto ho scritto (..e no, niente pensieri su quanto scrivo o scriverò, l’ho detto che si guarda indietro).

E il pensiero si è focalizzato non tanto sui mille diari che al momento giacciono in uno scatolone a casa dei miei, accuratamente impacchettati in attesa di uno scaffale tutto per loro, quanto alle comunicazioni bidirezionali che avevo.
Il quaderno (a buchi, copertina nera con disegno sul rosso e beige, fogli colorati a righe) che ci passavamo io e C per raccontarci tutto quel che ci capitava.. (e che prima o poi scannerizzerò perché è giusto che C ne abbia una copia) e poi più avanti il floppy che mi scambiavo con V e che aveva un nome tutto suo: VeFr, le nostre iniziali (e che poi ha avuto un paio di fratellini: il VeCl e il FriCl, ma mai un VeFriCl).
..e anche se non so dove sono finiti i floppy, so che da qualche parte ci sono.

Una decina di giorni fa mi sono iscritta a Backupify, sai mai che in futuro mi disperi perché ho perso le mie tracce.

(..guardo indietro in questi giorni che non ho troppa voglia di guardare avanti e magari indietro trovo ispirazione…)

Sono fatti l’uno per l’altra

Il sig. N mi chiama da casa, io sono al tel e lo richiamo e lui tutto felice mi annuncia “Sono a casa!” “..”.

Mia madre spesso mi telefona a casa ed esordisce dicendo “Dove sei?” “..”.

(..Dio li fa e me li rifila!)

Il sig. N

Il sig. N la sera quando si pianta sul divano e accende il computer una delle cose che fa è aprire twitter (il sito) e andarsi a leggere quello che ho cinguettato dall’ultima volta che lui ha letto.

L’ho scoperto l’altra sera per caso.

Il sig. N ieri sera si è fatto trovare dietro la porta di casa con un enorme mazzo di fiori. Per me. Incurante che la sua gatta (The Ciccion) li mangerà tutti impunemente.

Nelle notti fredde il sig. N fa la differenza :-)

Freddo

Ho freddo e sono già stressatissima.
La prima settimana l’ho passata a fare il sistemista per una società per cui non lavoro, in mezzo a condizionatori che si son rotti, SAN con dischi più di là che di qua, server che si riavviavano per il caldo; informazioni a disposizione per risolvere i problemi, poche.
La seconda settimana è iniziata bene, ma ieri mi è toccato giocare all’idraulico perché c’era una perdita nell’appartamento dello zio che gocciolava in quello di mammà e gli inquilini non erano felici. Mammà angosciata che subiva le chiamate degli inquilini, lo zio angosciato che da dov’è non può farci nulla, io che mi sono perfino dimenticata le chiavi di quella casa all’interno del condominio, senza avere la chiave del portone.
Quando finalmente sono riuscita a tornare in ufficio, invece che schiacchiare un pisolino come sarebbe stato giusto, mi sono messa ad analizzare delle specifiche che mi attendevano e ho scoperto una nuova branca della fantascienza. Dopo aver atteso inutilmente delucidazioni fino alle 19 me ne sono andata a casa e le delucidazioni sono arrivate per telefono verso le 21.30. Poi sono crollata sul divano.

Oggi ho dato le informazioni del caso al programmatore (niente specifiche scritte, dopo la fantascienza), ho chiesto notizie in giro di informazioni che mi servono, ho indagato misteri astrali, ho cercato di evadere una tudù ingombrante e assillante e domattina devo partorire le mie stime.

..che non andranno bene, perché non contemplano dopodomani come data di fine lavori.

La notte ha cambiato rumore

Al mio rientro dalle ferie sulla pila della posta non letta campeggiava un libro “La notte ha cambiato rumore”. Breve scambio di mail con chi si è occupato di raccogliere e smistare la posta in mia assenza, e scopro che è un gentile omaggio di Mondadori.

La copertina è azzurra, il libro ha un discreto peso.. l’ho osservato qualche giorno per decidere se iniziare a leggerlo o se partire con uno degli n libri che occupavano il mio bagaglio a mano al rientro. Quando ho iniziato, non ho praticamente più smesso.

La storia non è come te la immagini. Io avrei letto felice anche solo continuando con cose di sartoria e pettegolezzi del vicino, invece arrivano personaggi nuovi, si ricambia continente e tutte le fila si chiudono. Quasi.

La fine finisce solo a metà: per qualcuno si chiude, per gli altri ci sono tanti finali possibili.. l’unico momento in cui ho odiato la Dueñas “dammi un finale, ne ho bisogno! se no su cosa continuo a fantasticare?”.

Finito il libro ho iniziato a curiosare in rete per sapere, capire, frugare nelle pieghe.. e qualcosa ho scoperto:

  1. in Spagna ne stanno traendo una versione televisiva (non ho capito se un film o uno sceneggiato)
  2. c’è un blog dedicato alla versione spagnola con un po’ di informazioni di contorno
  3. i personaggi storici non hanno una voce su Wikipedia in italiano o ce l’hanno fatta maluccio (ad eccezione del cognatissimo): Rosalinda Powell Fox, Juan Luis Beigbeder, Ramón Serrano Súñer, Alan Hillgarth

Come andare in bicicletta

15 con e poi 12 senza.
15 anni passati in sella, con ogni impegno pianificato per avere tutti i giorni il tempo per andare a cavallo, con i weekend sempre presi in giro per gare.
Poi un giorno è finita. Khattam-shud, finita del tutto.

Sabato, per la prima volta dopo 12 anni, ho rimesso il sedere su una sella e anche se non era tutto perfetto come prima, è stato come risalire in bici e scoprire di non averlo dimenticato.
Il fisico non c’è, ma i riflessi e le abitudini tutti.