Lo stronzo delle 18.32

(respiro)

Il treno delle 18.32 stasera era più pieno del solito. Dopo averne percorso circa 3/4, la maggior parte dei quali sulla banchina perché all’interno delle carrozze non si riusciva a passare, ho trovato una carrozza un po’ più libera delle altre e.. attenzione! Un posto libero.
Ora, non è che il mio tragitto sia di una lunghezza tale che mi consumo se anche sto in piedi, ma detesto essere spintonata, sballottata, accaldata e pressata da tutte le parti, ossia quello che succede quando viaggi in piedi su un treno pendolari della linea Milano-Lecco.
“Scusi, posso?” di solito approccio così le persone che appoggiano il cappotto o lo zaino o sul sedile di fronte. “No, è occupato”

Ora.. credo di potermi ritenere una pendolare di lungo corso e penso di conoscere piuttosto bene quel che si fa e quel che non si fa, compreso quel che puoi fare e quello che non puoi fare (sì, quello che fai può essere diverso da quello che puoi fare). Anche a me è capitato di tenere il posto a sorelle, cugine, amiche, ecc. che viaggiavano con me.. però quando il treno si riempie così tanto, non hai chance. Lasci lì la borsa e il resto per un po’, sperando che nessuno venga a chiederti se il posto è libero. Se, sfiga, te lo chiedono, abbozzi e ti riprendi la tua roba; il tuo compagno di viaggio è stato sfortunato o troppo ritardatario e per questa volta viaggerà in piedi.
Bene. Quindi stasera davanti al posto occupato ho ribattuto “Non mi sembra”. “Sì, guardi, è occupato”. “Ripeto, non mi sembra proprio”. Piega meglio il cappotto, ci appoggia sopra la mano, come ad occupare meglio due sedili (uno di fronte all’altro, per altro, l’assurdo nell’assurdo!) e ripete “È occupato”.
“Non mi sembra proprio”. “Non ha capito? È occupato, sta arrivando una persona” “Beh, ma adesso non c’è e non mi risulta che il regolamento ferroviario preveda che lei possa tenere occupato un posto”.

Ero circa nella terz’ultima carrozza di un treno lungo; se fossi andata a cercare il capotreno (che non si trovava in testa al binario quando sono passata, 4 minuti prima della partenza del treno, quindi sa il cielo dove fosse) ora che arrivavo in testa al treno era già ora di scendere; il numero di Trenitalia, ammesso e non concesso che esista un numero da chiamare in questi casi, non ce l’avevo; le sceneggiate napoletane non sono il mio genere e la discussione, per i miei standard, si era protratta sufficientemente a lungo.. quindi ho buttato l’occhio sul binario accanto, ho visto pronto il treno dopo (attesa 20 minuti), sono scesa augurando – uhm, meglio che non lo dica – al gentile signore che tiene i posti occupati e di perdere il treno alla persona a cui era destinato il *mio* posto, e sono comodamente salita sul 18.49.
Semivuoto, a due piani, confortevole e apparentemente privo di stronzi.

Ho aperto il pc ed eccomi qui. Quando (se) passa il capotreno chiederò consiglio su cosa fare in questi casi.

(ovviamente il capotreno non è passato)

Al telefono /2

Squilla il cell. Numero privato. Voce maschile con accento romano, ma la telefonata è molto disturbata:

X associazione buddhista italiana?
F No.
X Non vi occupate di yoga, ecc?
F No, questo è il mio numero
X Ma l’ho trovato su internet!
F Mi spiace, questo è il mio numero personale
X Ah, allora lo cancello

Senza parole.

Al telefono /1

Martedì scorso ho fatto colazione con Sara. Non ci eravamo date un appuntamento preciso ma ci eravamo scambiate il numero di cell, quindi quando sono arrivata sotto casa sua le ho mandato un sms:

F Sono sotto casa tua :-)
S Chi 6
(io iniziavo a pormi delle domande, ma magari Sara non aveva salvato il mio numero e ce l’aveva su un foglietto di carta esattamente come ce l’avevo io in quel momento)
F Frieda
S Sotto quale casa
(e qui ho iniziato a sghignazzare tra me e me)
F Sara?
S Ai sbagliato numero
F Ops!

A quel punto ho chiamato un’amica e mi sono fatta dare il numero giusto e la nostra colazione è andata benissimo, ma io ho continuato a sghignazzarci sopra per tutta mattina (mi immaginavo un marito munito di moglie molto gelosa che riceve il mio sms..!!).

Credo fermamente (o forse no)

Ogni tanto sono lì che rifletto sulle mie reazioni o si modi in cui approccio le cose e mi si forma lentamente in testa una lista di cose in cui credo fermamente. Allora mi dico “adesso la bloggo, così mi rimane”. Poi ci penso e lascio perdere, non perché non voglia mettere nero su bianco ma perché gli assolutismi assoluti (son ridondante, lo so!) non fanno per me.
Io parlo e medito meglio di ciò che conosco perché lo tocco con mano; il resto, dopo un po’, mi sa terribilmente di generalizzazione e/o di sega mentale.

Matriagio & co

Il sig. N mi manda mail angosciate chiedendo aggiornamenti sull’organizzazione del matriagio e io ci scherzo su o rispondo incazzosa (stufa di colleghi, amici, parenti che non sanno ripetere altro che “siete in ritardo!”. Organizzate voi, no?).
Il mercoledì sera è il momento che temo di più di tutta la settimana, non c’è scadenza lavorativa o angoscia personale che sia simile a come mi sento quando il mercoledì sera si avvicina: odio il corso fidanzati. È noioso, il sig. N trolla (ogni tanto ha ragione, ogni tanto vorrei tirargli un calcione sulla caviglia se solo ci fosse garanzia che questo lo zittisca), le riflessioni sono spesso e volentieri monologhi della coppia guida, il prete ieri sera ha detto cose del tipo “e allora vai su Facebook a informarti sull’aborto” (e io ho pensato di alzarmi e di andarmene, che a riempirsi la bocca di cazzate son buoni tutti ma questa ne batteva tanti), utilità pratica nulla (quando devo fare il consenso? consegnare i doc al prete? chi mi spiega dove trovare le letture tra cui scegliere per il “libretto”?) e per di più fa freddo, le sedie sono scomode e tutto quel bianco con la luce al neon la sera mi urta (sì, sono insofferente).
La mie due proposte per il viaggio di nozze sono state cassate (una certamente, l’altra forse) e io inizio a capire perché la gente assume wedding planner.

[Retrò]: addio monti sorgenti e valli (alla finnica)

Credo di averlo detto a tutti in continuazione (o almeno l’ho fatto per anni): durante l’università ho fatto l’Erasmus a Helsinki.
Aver appena finito di leggere l’ultimo libro di Severgnini e aver discusso di scambi culturali l’altra sera a cena con amici, mi ha fatto ricordare che poco meno di 10 anni fa ho scritto questo a Italians:

Caro Beppe,
ho bisogno del tuo sostegno e di quello di tutti gli Italians. Dopo 4 mesi di Erasmus in Finlandia me ne torno a casa. Questo Paese strano mi è “entrato dentro”, non so bene come e perché; ho provato a spiegarlo agli amici stupefatti (“come? non vuoi tornare a casa?”) ma non ci sono riuscita. Dev’essere qualcosa che è nell’aria, o nei boschi. Dev’essere quest’incrocio di culture che convivono benissimo in un’università dove puoi dare i tuoi esami in inglese, finlandese, tedesco e qualche volta anche in italiano. Te la immagini una cosa del genere in Italia? Io no.
La cosa a cui più mi dovrò abituare sono le porte. Il finlandese-medio ti apre la porta, se ti vede arrivare te la tiene aperta, ti cede anche il passo. Già mi ci vedo, a spasso per Milano, che sbatto il naso contro la porta della Rinascente perché il ragazzo davanti a me l’ha “lasciata andare”. Porte a parte, volevo ringraziarti perché attraverso Italians ho conosciuto un po’ di “italiani di Helsinki” e insieme abbiamo formato un bel gruppo. Mi spiace che la pizzata sia scivolata in data da definirsi.
Sfatiamo un mito, quello dei nordici alti-biondi-con-gli-occhi-azzurri: i finlandesi per biondi sono biondi, l’occhio ceruleo non manca, alti a volte, ma sono proprio slavatini.
Hyvää jouloa ja onnellista uutta vuotta (Buon Natale e Felice Anno Nuovo)

Tanto per ridere

Giovedì bevendo qualcosa con un amico mi sono sentita per un attimo astemia:
C cosa bevete?
F un bicchiere di vino bianco
C ..e per lei?
A qualcosa di alcolico..

A proposito dell’iPad, continuo a sghignazzare ripensando a questa scemenza by Luca Sartoni.

Ieri passavamo per Lugano, in macchina, insieme ad una coppia di amici e commentavamo gli oggetti che galleggiavano sull’acqua:
F le paperelleeeeeeeeee!
N la moto d’acqua..
A guardate che bel trattore!

Ode alla Nivea

Non c’è un errore nel titolo, non intendevo “Nives”, no, no, ce l’ho proprio con la Nivea. NI-VE-A. Bianca, soda.. barattolo blu, di latta, tondo. Quello.
Ci pensavo stanotte, mentre al buio allungavo una mano verso il cassetto del comodino, dove al tatto riconosco subito il barattolo (quello “normale” sia chiaro, perché quello piccolo non si può vedere che lo perdi e finisce subito e quello grosso stufa perché non finisce mai ed è ingombrante): la sensazione familiare del mio dito che sprofonda nel bianco, morbido, mi è familiare da più di trent’anni.
Quando ero piccola la mattina non si usciva di casa se non m’incremavo la faccia con la Nivea e la nonna non mi aveva picchiettato le guance (duplice funzione di massaggino rassodante e di assorbimento rapido della crema); un giorno che mi hanno propinato un famoso sostituto (Leocrema) l’ho annusato e sono fuggita sdegnata (in seguito ho anche controllato la consistenza e non c’eravamo proprio).
Narrano le leggende di famiglia che ancora più piccola e lasciata un pomeriggio con la babysitter io abbia accuratamente ricoperto la trapunta del lettone dei miei con il contenuto di un barattolo di Nivea.. (nessuno sa che fine abbia fatto la trapunta e se, quindi, la Nivea sia lavabile).
È un legame così profondo che i barattolini in casa sono due: metti che ne perda uno..

(..no, non mi paga il sig. Nivea. Da oltre trent’anni sono io che finanzio lui e non viceversa. Sì, il sig. N lo sa e non è geloso!)

Gattologo

Stamattina un’enorme gatta nera correva per casa inseguendo il suo cibo. Detto così suona molto nobile: avendo trovato un topo/tacchino/insetto in giro, la gatta nera lo inseguiva per nutrirsene; in realtà quello che stava accadendo è che prendeva le crocchette dalla ciotola ad una ad una, le lanciava in giro e le inseguiva per mangiarsele facendo dei saltoni come un prode cacciatore.

Poco fa ero, come ora, sul divano, col laptop in grembo e stavo lavorando. La Ciccion è uscita dalla loro cesta, ha disceso le librerie, e camminando sullo schienale del divano è arrivata da me. Mi ha piantato le zampe sul petto e si è comodamente sdraiata, riducendo la mia operatività a zero.

(..la porterò dal gattologo, io, altroché! Non si può mica andare avanti così :-D)

Corso fidanzati

Ieri siamo stati dal “parroco” (la situazione parrocchie di Arcore è un po’ complicata..) della parrocchia vicino ai miei, per iscriverci al corso fidanzati. A meno di non spostarci altrove (dintorni o più plausibilmente Milano) è l’unica chance che abbiamo.
Non conoscevo questo prete e devo dire che non ci è piaciuto particolarmente.. non che abbiamo fatto grandi chiacchiere, ma diciamo che non mi aspetto molto da questa esperienza. I “docenti” saranno appunto il prete, due coppie (sperem!) e una dottoressa.
Immagino che il programma del corso sia piuttosto standard: 7 incontri da due ore più la consegna dell’attestato. Un incontro conoscitivo, uno di visione film (ma noi saremo in settimana bianca.. il sig. N già sta festeggiando!), uno sulla fede (e sarà un tormento, lo so.. il sig. N, ateo e mangiapreti, darà il meglio di sé), il sacramento, la fedeltà, i metodi naturali (tormento per entrambi, dato lo scetticismo: l’unico metodo naturale funzionante è l’astensione) e infine uno sulla comunità.

Vedremo..